CODICE CIVILE Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio.
Art. 143 Diritti e doveri reciproci dei coniugi.
Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
Dal matrimonio deriva l’ obbligo reciproco alla fedeltà, all’ assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’ interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
Capo V Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi.
Art. 149 Scioglimento del matrimonio.
Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge. Gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi dell’articolo 82, o dell’ articolo 83, e regolarmente trascritto, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.
Art. 15 Separazione personale.
E’ ammessa la separazione personale dei coniugi.
La separazione può essere giudiziale o consensuale.
Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o l’ omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi.
Art. 151 Separazione giudiziale.
La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’ educazione della prole.
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
Art. 154 Riconciliazione.
La riconciliazione tra i coniugi comporta l’ abbandono della domanda di separazione personale già proposta.
Art. 156 Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi.
Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’ altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.
L’ entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’ obbligato.
Resta fermo l’ obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti.
Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall’ articolo 155.
La sentenza costituisce titolo per l’ iscrizione dell’ ipoteca giudiziale ai sensi dell’ articolo 2818.
In caso di inadempienza, su richiesta dell’ avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’ obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi diritto.
Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti.
Art.156-bis Cognome della moglie.
Il giudice può vietare alla moglie l’ uso del cognome del marito quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole, e può parimenti autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall’ uso possa derivarle grave pregiudizio.
Art. 157 Cessazione degli effetti della separazione.
I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.
La separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione.
Art. 158 Separazione consensuale.
La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice.
Quando l’ accordo dei coniugi relativamente all’ affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’ interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell’ interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l’ omologazione.
WhatsApp, stop al partner infedele: il trucco per leggere le chat
WhatsApp, stop al partner infedele: il trucco per leggere le chat Tecnoandroid
WhatsApp all’interno di una relazione stabile di coppia può essere di strategica importanza. La chat, oltre ad essere un punto di riferimento per la quotidianità di un legame affettivo, in alcune circostanze può garantire informazioni molto importanti. Proprio attraverso WhatsApp da tempo emergono gran parte degli episodi di infedeltà.
WhatsApp, il nuovo trucco per scoprire l’infedeltà del partner
E’ prassi comune che, dinanzi a sospetto di tradimento da parte del proprio partner, gli utenti si affidino proprio a WhatsApp per ricevere maggiori informazioni. La lettura dei messaggi può essere la prova decisiva per decretare o meno l’atto di infedeltà del proprio lui o della propria lei.
La maggior parte delle persone sceglie di leggere, a tal proposito, direttamente le conversazioni dallo smartphone del partner. Il sistema della lettura diretta, seppur molto semplice da attuare, non sempre è redditizio. Chi ha qualcosa da nascondere infatti potrebbe aver tempo per eliminare ogni genere di contenuto sospetto.
Gli iscritti a WhatsApp, a tal proposito, possono mettere in atto un secondo metodo, molto più valido in termini di risultati. Questo metodo prevede l’ausilio di una piattaforma come WhatsApp Web.
Gli utenti della chat di messaggistica, a tal proposito, hanno la possibilità di effettuare una copia delle conversazioni dello smartphone su un pc. La sincronizzazione delle chat avviene per mezzo di una funzione del menù Impostazioni.
Stando a questa funzione, per leggere tutte le chat del partner, sarà necessario aver accesso allo smartphone altrui anche per pochi secondi e avere un pc a propria disposizione. Le conversazioni con questo metodo saranno anche aggiornate in tempo reale.
Infedeltà coniugale, c'è il risarcimento solo in caso di danno alla reputazione
Un'ordinanza della Cassazione del 7 marzo scorso ha fatto ulteriore chiarezza su quando il coniuge tradito può chiedere il risarcimento danni al giudice
Il risarcimento danni in caso di tradimento può essere richiesto soltanto se il fatto ha rovinato la reputazione del coniuge tradito, ovvero se il tradimento è stato consumato alla luce del sole o è diventato oggetto di chiacchiere e maldicenze. È quanto emerso (e ribadito) dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6598/2019 del 7 marzo scorso. Al centro della vicenda c'è un uomo che, dopo essersi separato dalla moglie, ha saputo da quest'ultima che aveva avuto una relazione extraconiugale con un collega di lavoro. L'uomo è andato su tutte le furie e ha presentato domanda di risarcimento danni al Tribunale in quanto la scoperta della relazione dell'ex moglie gli avrebbe provocato "un disturbo depressivo cronico". Nella richiesta di risarcimento l'uomo ha inserito anche l'amante e perfino il loro datore di lavoro, che, a suo dire, non avrebbe effettuato una "provveduta vigilanza sui propri dipendenti".
La richiesta è stata respinta sia in Tribunale che in Corte d'Appello. Imperterrito l'uomo ha presentato ricorso in Cassazione, allorché il giudici della Corte Suprema hanno confermato quanto stabilito precedentemente, ovvero che la violazione della fedeltà coniugale non è sufficiente per riconoscere il diritto risarcitorio del partner tradito. Nello specifico, il tradimento non è stato causa della rottura coniugale, poiché "la moglie ha svelato al marito la sua relazione con il collega di lavoro mesi dopo la loro separazione". Inoltre, la scoperta del tradimento non ha gravato sulla reputazione del coniuge tradito, "in quanto non era noto neppure nell'ambiente circostante o di lavoro, e comunque non posto in essere con modalità tali da poter essere lesivo della dignità della persona".
Per quanto riguarda l'amante e il datore di lavoro, la domanda è stata respinta anche qui. Il comportamento dell'amante non è sanzionabile, poiché l'uomo ha "semplicemente esercitato il proprio diritto alla libera espressione della propria personalità, diritto che può manifestarsi anche nell'intrattenere relazioni con persone sposate". Per quanto riguarda il datore di lavoro invece, egli non ha nulla a che vedere con la vicenda. Anzi, se avesse sorvegliato i propri dipendenti sarebbe incappato nella violazione della privacy altrui, reato punibile per legge.
Assgno di divorzio a tempo: le conseguenze
Il disegno di legge dell'on. Morani approvato alla Camera fissa un assegno di divorzio a tempo, a tutto svantaggio del coniuge più debole
Il disegno di legge n. 1293 introduce l'assegno di divorzio a tempo per dare attuazione ai principi delle SU del 2018 in materia. Un'iniziativa che sembrerebbe andare a tutto svantaggio del coniuge più debole.
L'assegno di divorzio a tempo
Dopo la SU n. 18287/2018 della Cassazione, che ha riaperto il dibattito sulle misure economiche post divorzio, il disegno di legge n. 1293 dell'onorevole Morani ridisegna la disciplina dell'assegno divorzile, introducendo l'assegno a tempo.
L'art. 2 del disegno di legge, attraverso la modifica dell'art .5 della legge sul divorzio n. 898/1970 prevede infatti la possibilità per il tribunale di "predeterminare la durata dell'assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili." Il tutto dopo aver valutato:
- le condizioni personali ed economiche dei coniugi a causa dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio;
- l'età e lo stato di salute del soggetto richiedente;
- il contributo personale ed economico di ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune;
- il patrimonio e il reddito netto di entrambi;
- la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della mancanza di un'adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa, quale conseguenza dell'adempimento dei doveri coniugali nel corso della vita matrimoniale;
- l'impegno di cura di figli comuni minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti.
Una norma che stona con i provvedimenti di volontaria giurisdizione, che per natura, sono sempre rivedibili proprio per la caratteristica intrinseca di adattarsi alle modifiche delle condizioni di vita delle persone. Come conferma anche lo scarso ricorso all'assegno di divorzio in un'unica soluzione che, a causa della sua rigidità e definitività, impedisce ulteriori e successive richieste di tipo economico. Uno strumento che poco si adatta alla mutevolezza delle condizioni di vita delle persone.
L'assegno a tempo "danneggia" il coniuge più debole
Chiaro quindi come questa proposta di legge così come la SU del n. 18287/2018 siano il segnale di un cambiamento destinato a ripercuotersi negativamente sul coniuge più debole, in genere le donne, da sempre più svantaggiate nella costruzione di una carriera lavorativa. Non tanto per mancanza di volontà, ma per un sistema che non permette alle donne di conciliare lavoro e famiglia. Da qui la rinuncia alle proprie ambizioni personali e lavorative, per ritrovarsi poi, una volta divorziate, prive di quella formazione ed esperienza che sarebbe necessaria per un ricollocamento lavorativo. Ora, vero che il disegno di legge prevede che il giudice debba valutare anche questo dato, ma il rischio che nelle sentenze i giudizi siano in qualche modo condizionati da certi pregiudizi culturali non sembra così difficile.
Segnali di cambiamento in peius quindi per il coniuge più debole che sono stati rafforzati ulteriormente dalla Cassazione n. 11178/2019, per la quale le risultanze probatorie dei processi di divorzio in corso devono essere riesaminate alla luce dei nuovi principi sanciti dalla Cassazione nella Su del 2018.
Principio sul quale, alcuni giudici di merito, hanno dissentito e continuano a dissentire. Il Tribunale di Treviso, ad esempio, nella sentenza del 27 maggio 2019 ha affermato che la corsa all'interpretazione in senso evoluzionistico dell'art. 5 legge n. 898 non può non avere ripercussioni sui processi in corso. Così come il Tribunale di Pordenone, che con la sentenza del 14 novembre 2018 ha riconosciuto alla moglie l'assegno di divorzio perché ha ritenuto che la situazione di svantaggio economico in cui si è trovata dopo il divorzio sia da ricondurre a scelte endo-matrimoniali, ovvero compiute durante il matrimonio.
Impiegato incastrato dal detective: condannato
Un detective privato al lavoro
Tra moglie e marito non mettere il dito, recita un vecchio proverbio, ignorato però dal protagonista di questa vicenda giudiziaria, che ha mentito davanti al giudice per... amore della sua amante. Si tratta di un impiegato lucchese di 50 anni che è stato condannato a un anno e 4 mesi di reclusione, per il reato di falsa testimonianza.
I fatti di questa singolare vicenda giudiziaria, approdata davanti al giudice monocratico risalgono al 2014. All'epoca l'impiegato, residente in Lucchesia, aveva da tempo una relazione con una donna sposata, di circa dieci anni più giovane, il cui matrimonio già in crisi sfociò poi in una causa di separazione in tribunale a Lucca. Davanti al giudice che doveva valutare i termini di quella separazione, fu chiamato a testimoniare anche l'amante, perché il marito sosteneva che il tradimento della moglie andava avanti da tempo e quindi voleva dimostrare che la separazione coniugale avveniva per colpa della donna. Ma al processo civile, l'amante sostenne di aver iniziato la relazione con la donna solo dopo che lei e il marito avevano avviato le pratiche per la separazione. Peccato che l'altro, sospettando appunto il tradimento, avesse ingaggiato un detective, che per parecchio tempo aveva tenuto d'occhio i due amanti, documentandone gli incontri. Ed ecco così spuntare foto e altre prove inequivocabili della nascita di una relazione clandestina già da tempo, quindi una delle cause della separazione stessa.
A quel punto il giudice civile aveva trasmesso gli atti alla Procura per falsa testimonianza. Al processo penale davanti al giudice Boragine è emerso che l'impiegato aveva effettivamente mentito sulle circostanze della loro relazione, nel tentativo di tutelare la sua amante. Una condotta che gli è costata una condanna a un anno e quattro mesi di reclusione, con pena sospesa.
Tradimento coniugale on line
Navigare nel web sui siti d'incontri equivale a un tradimento e se un coniuge sorprende l'altro in cerca di relazioni su internet e se ne va di casa non commette abbandono di tetto coniugale.
La moglie che sorprende il marito a navigare sul web in cerca di relazioni con altre donne - hanno sottolineato i giudici della Suprema corte - non commette abbandono di tetto coniugale perchè si tratta di una "circostanza oggettivamente idonea a compromettere la fiducia tra i coniugi e a provocare l'insorgere della crisi matrimoniale all'origine della separazione". La donna se ne era andata di casa, piantando il marito su due piedi, appena aveva scoperto che lui cercava altri incontri con compagnia femminile sul web.
Lo ha stabilito la Cassazione respingendo il ricorso di un uomo che voleva addebitare la causa della separazione all'ex moglie per violazione dell'obbligo di coabitazione.
L'uomo aveva anche chiesto di eliminare l'obbligo di contribuire con 600 euro al mese al mantenimento della moglie separata, una signora benestante e molto più giovane di lui, ma i giudici hanno confermato l'assegno. Con questa sentenza, la Suprema corte ha convalidato il verdetto emesso dalla Corte di Appello di Bologna che aveva equiparato la navigazione sui siti d'incontri alla violazione dell'obbligo di fedeltà.
La separazione giudiziale
Passaggi e tempi per porre fine alla convivenza quando non c'è un accordo tra i coniugi. Cosa può decidere il giudice? E quanto si aspetta per il divorzio?
Le cose non sempre vanno come si pensava e, così, può succedere che una coppia decida di dirsi addio per sempre e di ricominciare separatamente una nuova vita. A volte, però, lasciarsi in buoni rapporti risulta complicato, specialmente se c'è da dividere un patrimonio e, soprattutto, se entrambi gli ex coniugi vorrebbero avere la custodia dei figli e pretendere che l'altro contribuisca al mantenimento. Quando l'accordo su queste ed altre cose non c'è, si arriva alla separazione giudiziale. Che cos'è e che cosa comporta è quello che vedremo in questo articolo.
La separazione giudiziale, dunque, non va confusa con quella consensuale. A quest'ultima, infatti, si arriva grazie ad un accordo tra i coniugi su quali saranno i loro compiti e le loro responsabilità una volta cessata la convivenza. Nella separazione giudiziale, invece, è un magistrato a decidere questi aspetti, poiché l'intesa di partenza non c'è stata.
Ed è qui che comincia il "festival" delle accuse, dei rimproveri e dei rinfacciamenti. A volte, purtroppo, senza esclusione di colpi, il che rende tutto molto più difficile. Bisogna portare in tribunale le prove dell'impossibilità di continuare la convivenza, il che non è sempre una passeggiata. La separazione giudiziale, infatti, comporta mettere sul banco davanti ad un giudice le proprie frustrazioni ed i fallimenti della coppia e cercare di dare un perché, possibilmente addossando la colpa alla controparte.
Arrivati a questo punto, dunque, diventa fondamentale sapere come muoversi, come difendersi e quali sono i propri diritti per affrontare con la massima preparazione la separazione giudiziale. Tutti aspetti che vediamo di seguito.
Separazione giudiziale: che cos'è?
Per definizione, la separazione giudiziale è il procedimento che uno dei coniugi promuove in disaccordo con l'altro per porre fine alla loro convivenza. Attraverso questo procedimento si ottiene una sentenza di separazione basata su fatti (anche indipendenti dal volere della coppia) che rendono la convivenza intollerabile oppure possono recare danno alla prole.
Che cosa si intende per convivenza intollerabile?
In qualsiasi tipo di convivenza ci vuole un minimo di tolleranza: al lavoro non tutti i colleghi meriterebbero un abbraccio ogni mattina, ma tocca tenerseli accanto tutti i giorni e, per questo, bisogna armarsi di pazienza ed accettare qualche difetto (come gli altri faranno con i nostri). Lo stesso succede con i vicini di casa: sopportare il cane che abbaia dall'altra parte del pianerottolo o il condomino che rientra la sera tardi facendo un po' di fracasso non sempre è facile. Ma, anche qui, per evitare battaglie quotidiane ogni tanto serve la pazienza.
Figuriamoci in un rapporto di coppia, dove ciascuno cerca di consolidare il proprio spazio con le proprie abitudini senza troppe interferenze, nemmeno da parte del marito o della moglie. Ma se con il collega o con il vicino di casa si è disposti ad essere permissivi (almeno fino ad un certo punto), che cosa fa diventare intollerabile la convivenza con il partner per arrivare perfino alla separazione giudiziale?
Il pensiero che potrebbe apparire più scontato è che la convivenza diventa intollerabile quando uno dei due coniugi comincia a violare gli obblighi matrimoniali: infedeltà, indifferenza verso l'altro, scarsa partecipazione alla vita affettiva ed economica della famiglia, ecc. Tuttavia, la tesi più diffusa è che i fattori che portano all'intollerabilità di una convivenza non dipendano dalla volontà dei coniugi. Si parla, quindi, dell'incompatibilità di caratteri, della diversità culturale acquisita in passato, di due modi paralleli di concepire il futuro della coppia e della famiglia, ecc. Cose che, a dire la verità, potevano scaturire durante il fidanzamento, ma questa è un'altra storia.
In ogni caso, il distacco non solo fisico (mancanza di rapporti sessuali, ad esempio) ma anche spirituale (carenza assoluta di dialogo e indifferenza più totale verso l'altro) rendono la convivenza intollerabile e portano, inevitabilmente, verso la separazione giudiziale. Anche quando questo atteggiamento lo dimostra uno solo dei coniugi. Perché non finisce solo per ferire l'altro: ha una ricaduta immancabile sui figli.
Separazione giudiziale: chi ne ha la competenza?
Chi vuole presentare domanda di separazione coniugale deve rivolgersi, nell'ordine, ad uno di questi tribunali:
- a quello del luogo di ultima residenza comune della coppia;
- in mancanza di questo, al tribunale del luogo in cui ha la residenza o il domicilio il coniuge contro il quale si presenta la richiesta;
- se il convenuto risiede all'estero oppure è irreperibile, al tribunale del luogo in cui il coniuge ricorrente ha residenza o domicilio;
- ad un qualsiasi tribunale italiano nel caso in cui entrambi i coniugi siano residenti all'estero.
Durante il procedimento è obbligatoria la partecipazione di un pubblico ministero, il quale avrà la competenza di presentare delle nuove prove, fare delle richieste o impugnare una sentenza quando lo ritenga opportuno.
Separazione giudiziale: come si fa?
Chi vuole porre fine alla convivenza e non trova un accordo con l'ex coniuge sulle condizioni della separazione, può fare richiesta di separazione legale presentando ricorso in una delle sedi sopracitate.
Il ricorrente deve specificare i motivi della sua domanda e se la coppia ha dei figli. Deve, inoltre, allegare le dichiarazioni dei redditi dei due coniugi di almeno gli ultimi tre anni.
Giunto il ricorso in tribunale, il Presidente fissa con decreto nei successivi cinque giorni:
- la data dell'udienza alla quale devono presentarsi i due coniugi (entro 90 giorni dal giorno in cui è stato depositato il ricorso);
- il termine entro il quale deve essere notificato il ricorso da parte del ricorrente e del decreto all'altro coniuge;
- il termine entro il quale il coniuge convenuto (cioè quello che è stato citato da chi ha presentato il ricorso) ha la possibilità di depositare la memoria difensiva ed eventuali altri documenti.
L'udienza di comparizione
Citati entrambi dal presidente del Tribunale, i coniugi devono comparire per la prima udienza che apre il processo di separazione giudiziale. I due devono presentarsi obbligatoriamente di persona assistiti dai rispettivi avvocati.
Possono succedere tre cose:
- si presentano i due coniugi: l'udienza avviene normalmente;
- non si presenta il coniuge ricorrente: il presidente del Tribunale chiude il procedimento per rinuncia agli atti. In pratica, è come se la separazione giudiziale venisse "abortita";
- non si presenta il giudice convenuto, cioè la controparte di chi ha avviato il procedimento: il presidente del Tribunale fissa una nuova udienza e, se lo ritiene opportuno, decide con un'ordinanza gli aspetti urgenti che non possono essere rimandati.
Dei tre, gli ultimi due casi sono quelli eccezionali. Il primo, quello in cui si presentano entrambi i coniugi davanti al giudice, dovrebbe essere quello normale. In questo caso, il presidente del Tribunale cerca prima una mediazione per evitare che il procedimento vada avanti e che si arrivi alla separazione. Anche qui, ci sono diverse possibilità:
- l'accordo viene trovato: si redige un verbale ed il procedimento di separazione finisce lì;
- l'accordo non viene trovato: il presidente del Tribunale nomina un giudice istruttore e fissa una nuova udienza davanti a quest'ultimo.
L'udienza davanti al giudice istruttore
Questo articolo finirebbe qui se si fosse trovato un accordo davanti al presidente del Tribunale, cioè se la tentata conciliazione avesse successo ed i coniugi vivessero da quel momento in poi felici e contenti. L'articolo, invece, continua ipotizzando che quell'accordo non è stato trovato e che, quindi, il procedimento di separazione giudiziale, purtroppo, va avanti.
Come appena detto, si arriva davanti al giudice istruttore nell'udienza fissata dal Presidente nella fase precedente. Non ci sono più dei tentativi di intesa fra i coniugi, ma si va a stabilire le condizioni della separazione. Tant'è che il giudice può anche produrre delle prove nuove che riguardino i figli.
Il Tribunale, conclusa la fase istruttoria, emette una sentenza di separazione che la controparte può impugnare se lo ritiene opportuno. Inoltre, il giudice può emettere una sentenza non definitiva con cui risolve subito la separazione ma lascia che la causa vada avanti nel caso ci siano altre questioni da risolvere tra i coniugi, come ad esempio quelle che riguardano il patrimonio oppure l'affidamento dei figli.
Separazione giudiziale: che cosa può decidere il giudice?
Ci sono diversi provvedimenti durante il procedimento di separazione giudiziale. Innanzitutto, c'è l'ordinanza con cui il presidente del Tribunale decide sulla situazione dei figli e sui doveri e diritti dei coniugi, come ad esempio eventuale obbligo di mantenimento o assegnazione ad uno dei due dell'abitazione coniugale.
Quest'ordinanza è immediatamente esecutiva. Ma è anche modificabile o revocabile dal giudice istruttore con ulteriore sentenza oppure impugnabile con il dovuto reclamo alla Corte d'Appello.
Tra i provvedimenti più importanti ci sono, ovviamente, quelli che riguardano i figli, poiché è il loro interesse quello che prevale nel momento in cui un giudice deve emettere una sentenza. In particolare, la legge ha apportato alcuni anni fa qualche novità in proposito che il Tribunale deve tenere in considerazione [2]. In particolare:
- l'affidamento dei figli ad un solo genitore e l'opposizione all'affidamento condiviso;
- l'assegnazione dell'abitazione coniugale in base alla proprietà e agli accordi economici valutando gli interessi dei figli;
- l'obbligo di ascoltare il figlio minorenne durante il procedimento, a meno che non sia opportuno;
- l'obbligo di mantenimento non solo dei figli minorenni ma anche di quelli maggiorenni quando non sono economicamente autonomi.
Separazione giudiziale: la pronuncia di addebito
Di chi è la colpa di un matrimonio fallito? E quali sono le conseguenze che deve affrontare il coniuge a cui viene addebitato quel fallimento? Al giudice l'ardua decisione. Di solito, si basa su delle prove in grado di dimostrare che una delle parti ha violato i doveri matrimoniali con un comportamento poco o per nulla costruttivo. In questo caso, e su richiesta del ricorrente, può stabilire nella sentenza a chi attribuire la responsabilità della separazione.
Le conseguenze di questo addebito sono, soprattutto, economiche e patrimoniali (oltre a quelle affettive sulle quali nessun giudice è in grado di decidere perché appartengono alla sfera personale di ciascuno). Vediamo quali sono i principali effetti della separazione giudiziale.
Addio alla comunione dei beni
Prima conseguenza della separazione giudiziale: il regime di comunione dei beni viene immediatamente sciolto nel caso in cui i coniugi lo avessero adottato il giorno del loro matrimonio. Questo regime salta per aria nel momento stesso in cui il presidente del Tribunale dà il via libera alla separazione.
A sua volta, questo effetto della separazione giudiziale comporta:
- il subentro della comunione ordinaria al posto di quella legale;
- il passaggio al patrimonio comune dei beni de residuo;
- un nuovo regime patrimoniale, cioè quello della separazione.
A questo si aggiunge la separazione del patrimonio. Prima, però, bisogna procedere ai rimborsi e alle restituzioni dell'uno verso l'altro [3]. Significa che se uno dei due ha prelevato dal conto in comunione una cifra che non era destinata a soddisfare un obbligo familiare, dovrà restituirla. Lo stesso deve fare chi ha deciso di spendere una somma di sua iniziativa a meno che sia un atto di straordinaria amministrazione e venga dimostrato il vantaggio per la comunione o abbia soddisfatto un bisogno della famiglia.
Ciascuno dei coniugi può reclamare indietro i soldi prelevati dal patrimonio personale e destinati al patrimonio comune. Così come chi è in credito può prelevare dalla cassa comune (nell'ordine in denaro, in mobili ed in immobili) fino a pareggiare il conto.
A chi va la casa?
Una delle grane più ricorrenti quando si affronta una separazione giudiziale è quella dell'abitazione: a chi va la casa in cui sono stati i coniugi fino all'ultimo giorno di convivenza? Anche in questo caso decide il giudice, tentando di salvaguardare, soprattutto, l'interesse dei figli.
Può darsi, però, che i coniugi non abbiano avuto dei bambini. In questo caso, il giudice valuta queste due ipotesi:
- la casa è di proprietà comune, cioè è intestata ad entrambi i coniugi;
- la casa è di proprietà esclusiva di uno dei due, come nel caso in cui lui l'abbia ereditata dal padre e ci abbia vissuto con la moglie gli anni in cui sono stati insieme.
Solo nel primo caso si potrà pretendere la divisione giudiziale della casa. Nel secondo, invece, l'immobile resterà a chi detiene la proprietà esclusiva oppure (tornando al caso dei bambini) al genitore a cui vengono affidati i figli, anche se avrà il solo diritto di godimento.
Chi paga l'assegno di mantenimento?
Chi si trova l'addebito della separazione deve per forza pagare l'assegno di mantenimento all'ex coniuge ed ai figli? Diciamo, intanto, che l'assistenza materiale è prevista nel Codice civile in questo modo: "Il giudice - si legge - stabilisce in favore del coniuge il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, qualora egli non disponga di adeguati redditi propri". In pratica, e poiché la separazione giudiziale non cancella il matrimonio ma solo alcuni dei doveri dei coniugi, assistenza e rispetto restano fino al divorzio, così come deve restare lo stesso tenore di vita goduto fino a quel momento.
Se ne deduce che l'obbligo di assistenza materiale si traduce nel versamento dell'assegno di mantenimento, dovuto quando:
- c'è una separazione legale;
- uno dei due coniugi non ha un reddito proprio;
- il coniuge beneficiario dell'assegno non è il responsabile della separazione (cioè non gli è stata addebitata la fine della convivenza);
- il coniuge che deve pagare l'assegno ha un reddito sufficiente a garantire il mantenimento.
Attenzione, però: la Cassazione ha stabilito che se la convivenza è stata piuttosto breve l'assegno di mantenimento non sarà dovuto.
Eredità e pensione di reversibilità
Il coniuge separato ha diritto alla pensione di reversibilità dell'altro coniuge nel caso in cui quest'ultimo muoia? Se la sentenza di separazione giudiziale non dice il contrario, la risposta è sì. Ha diritto alla pensione di reversibilità sempre per lo stesso motivo che abbiamo citato più volte, cioè: la separazione non scioglie il matrimonio. Quindi il superstite è, a tutti gli effetti, vedovo o vedova della defunta o del defunto.
Di conseguenza, avrà anche il diritto di ereditare la sua quota di patrimonio. Viceversa, perderà i diritti successori il coniuge a cui è stata addebitata la separazione.
Separazione giudiziale: quanto ci vuole per il divorzio?
Se la separazione giudiziale non ti basta e vuoi che vengano annullati del tutto gli effetti del matrimonio chiedendo il divorzio, sappi che i tempi non sono eterni ma nemmeno viene risolto tutto dall'oggi al domani.
Il termine per vedere nero su bianco la parola fine sul tuo matrimonio è un anno. Dodici mesi che trascorrono dalla prima udienza davanti al presidente del Tribunale per il tentativo di conciliazione.
Tradimento: bastano le foto per inchiodare il marito e ottenere l'addebito
Le foto dell'agenzia investigativa fanno piena prova, senza bisogno di altre indagini.
Le foto che mostrano chiaramente la relazione extraconiugale del marito se non contestate in punto di fatto fanno piena prova dell'adulterio, senza bisogno di ulteriori indagini o prove testimoniali. A stabilirlo è il Tribunale di Milano con una recente sentenza (qui sotto allegata), dando ragione a una moglie che aveva esibito in giudizio le immagini del tradimento del consorte chiedendo che gli venisse addebitata la separazione, per aver impedito la prosecuzione della convivenza coniugale proprio a causa della relazione adulterina instaurata con altra donna.
Richiamando i precedenti dello stesso tribunale, il giudice milanese, ha osservato infatti che "in tanto il rapporto investigativo deve essere oggetto di conferma probatoria mediante escussione testimoniale dei testi di riferimento, in quanto sia stato specificamente contestato dalla controparte, assumendo, altrimenti, un valore pieno di prova documentale" (cfr., ex multis, Trib. Milano 13 maggio 2015). Analogamente si è espressa la Cassazione, secondo la quale, ai sensi dell'art. 115 c.p.c. "la non contestazione specifica costituisce un comportamento univocamente rilevante, con effetti vincolanti per il giudice, il quale deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e deve, perciò, ritenere la circostanza in questione sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo in concreto spiegato espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti" (cfr. Cass. n. 14594/2012).
Beninteso che, si legge in sentenza, il principio di non contestazione enucleato dall'art. 115 c.p.c. "ha vocazione generale e si applica a ogni fatto introdotto specificamente nel processo, pure là dove sia contenuto in una prova documentale". In altri termini, dunque, "il documento che sia prodotto in modo completo deve essere contestato specificamente – oppure - assume il valore di prova".
Per cui, non regge la tesi del marito secondo il quale, indipendentemente dalla sua violazione dell'obbligo di fedeltà, "l'unione coniugale era già da lungo tempo compromessa e ogni positiva comunicazione – con la moglie – era cessata". Sul punto, infatti, i capitoli di prova prodotti non sono idonei a confortare l'assunto di un matrimonio già finito "e caratterizzato da reciproca indifferenza e autonomia", bensì mostrano soltanto "una realtà, invero assai comune, di una convivenza un po' appassita".
Da qui, consegue, l'addebito della separazione in via esclusiva all'uomo.
Addio al tenore di vita, per l'assegno conta l'indipendenza economica
D'ora in poi, a contare sarà il criterio dell'indipendenza o autosufficienza economica e non più il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Lo comunica la stessa Cassazione, con una nota spiegando che "la prima sezione civile, con la sentenza n. 11504 pubblicata oggi, ha superato il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell'assegno al parametro del 'tenore di vita matrimoniale' indicando quale parametro di spettanza dell'assegno - avente natura 'assistenziale' - l'indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge che lo richiede".
Tribunale di Milano: non essere un buon marito non vuol dire non essere un buon padre
Confermato l’affido condiviso anche in caso di infedeltà coniugale, se il coniuge fedifrago è un buon genitore.
Se il marito tradisce la moglie non significa che non possa essere un buon padre.
Una cosa è l’infedeltà verso il coniuge che può rilevare ai fini dell’eventuale domanda di addebito della separazione o del risarcimento del danno, un’altra è il diritto alla genitorialità. A precisarlo è il Tribunale di Milano, con la recente ordinanza del 9 luglio 2015 (qui sotto allegata), confermando l’affido condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori e bocciando la domanda della moglie volta alla limitazione del diritto di visita paterno.
Secondo la donna, infatti, le scappatelle dell’uomo dovevano condurre a limitare il rapporto con i figli, ma per il tribunale non sussistono ragioni per derogare alla regola dell’affidamento condiviso. Non è sostenibile, infatti, ha affermato il giudice meneghino che “un marito eventualmente fedifrago sia consequenzialmente un padre inadatto: la violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio è certamente sanzionabile con l’addebito e finanche con l’azione risarcitoria; ma non giustifica affatto un affido monogenitoriale o una limitazione del diritto di visita del padre”, il quale potrebbe trovare giustificazione soltanto laddove la frequentazione fosse lesiva del preminente interesse dei minori.
E non solo. La madre che usa l’infedeltà del marito quale mezzo per condizionare il rapporto genitoriale tra padre e figli pone in essere “una condotta scorretta e come tale valutabile anche ai fini degli artt. 337-quater c.c. e 709-ter c.p.c.”.
Per cui, le istanze della moglie vanno rigettate in toto.
Ma attenzione. Il tribunale milanese ne approfitta per lanciare un monito rivolto, nel caso di specie, al padre, ma valevole in generale: nell’imminenza della separazione è bene che i genitori, in presenza di nuovi partner, dedichino “ai figli dei tempi esclusivi, gradualmente introducendo le figure affettive nella loro vita, altrimenti essendo possibile, se non probabile, che essi possano associare proprio a queste terze figure la fine del matrimonio e quindi iniziare a maturare rancori o risentimento verso il genitore”. Un invito alla prudenza, dunque, che va aldilà del diritto o della psicologia, per il quale, ha concluso il giudice, “è sufficiente il buon senso”.
Tribunale Milano, 9 luglio 2015
Fonte: Tribunale di Milano: non essere un buon marito non vuol dire non essere un buon padre.
Infedeltà Coniugale: ricordiamo che anche attraverso il web (Facebook, ecc.) si può incorrere nel tradimento coniugale
Chi subisce il tradimento potrà richiedere il rimborso di tutte le spese sostenute per l’indagine
Secondo la Costituzione (C. Cost. 18/04/1974 n.99) la fedeltà deve intendersi come l’obbligo di entrambi i coniugi di astenersi dall’intrattenere relazione e/o rapporti sessuali con terzi; “il dovere di fedeltà consiste nell’impegno di ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che non deve essere intesa soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali. La nozione di fedeltà impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. In questo quadro la fedeltà affettiva diventa componente di una fedeltà più ampia che si traduce nella capacità di saper sacrificare le proprie scelte personali a quelle imposte dal legame di coppia. E’ evidente che comportamenti che ledano la fiducia del partner possano mettere in essere i presupposti per una separazione con addebito a carico del coniuge che si relaziona anche solo platonicamente con un estraneo, e quindi non soltanto in seguito a relazioni sessuali.
In base all’articolo 143 del Codice Civile chi subisce il tradimento potrà richiedere il rimborso di tutte le spese sostenute per l’indagine da addebitare al coniuge infedele in fase di separazione giudiziale.
Comunione legale tra i coniugi
La comunione legale tra i coniugi si scioglie con effetto ex nunc dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell'omologazione degli accordi di separazione consensuale. Fino a quel momento tutti gli acquisti, anche se compiuti da uno solo dei coniugi, ricadono in regime di comunione con l'altro coniuge.
Lo ha stabilito il Tribunale di Roma, con sentenza del 27 aprile 2015 n. 9124 accogliendo in parte il ricorso presentato da un ex marito relativamente allo scioglimento della comunione tra lui e l'altro coniuge.
Assumeva parte attrice che nell'attivo da dividere fossero compresi un appartamento, con posti per auto e biciclette, ed un'autovettura, mentre l'ex moglie aveva negato che tali beni fossero comuni in quanto entrambi erano stati da lei acquistati in regime di separazione personale e con denaro proprio.
Il Tribunale capitolino, tuttavia, ha contrariamente precisato che ambo i beni dovevano rientrare nella comunione tra coniugi poiché al momento dell'acquisto non era ancora intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
Non rileva la circostanza che sia l'autovettura che l'abitazione fossero state acquistate con denaro proprio dell'ex moglie. Infatti, vige il principio per cui "in tema di scioglimento della comunione legale tra coniugi, la norma dell'art. 192, terzo comma, cod. civ. attribuisce a ciascuno di essi il diritto alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune, e non già alla ripetizione - totale o parziale - del denaro personale e dei proventi dell'attività separata (che cadono nella comunione "de residuo" solamente per la parte non consumata al momento dello scioglimento) impiegati per l'acquisto di beni costituenti oggetto della comunione legale "ex" art. 177, primo comma lett. a), cod. civ., rispetto ai quali trova applicazione il principio inderogabile, posto dall'art. 194, primo comma, cod. civ., secondo cui, in sede di divisione, l'attivo e il passivo sono ripartiti in parti eguali indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi agli esborsi necessari per l'acquisto dei beni caduti in comunione" (Cass. 10896/05),
In aggiunta, la giurisprudenza precisa che la divisione dei beni oggetto della comunione legale fra coniugi, conseguente allo scioglimento di essa, con effetto "ex nunc", per annullamento del matrimonio o per una delle altre cause indicate nell'art. 191 cod. civ., va effettuata in parti eguali, secondo il disposto del successivo art. 194, senza possibilità di prova di un diverso apporto economico dei coniugi all'acquisto del bene in comunione, non essendo applicabile la disciplina della comunione ordinaria, nella quale l'eguaglianza delle quote dei partecipanti è oggetto di una presunzione semplice (art. 1101 cod. civ.), superabile mediante prova del contrario (Cass. n. 11467/03).
Sia l'appartamento che l'autovettura, quindi, residuano in comunione e dovranno, pertanto, essere suddivisi tra i coniugi.
La sentenza oggetto dell'articolo è stata emessa in data antecedente alle recenti riforme legislative. Si ricorda, infatti, che le diverse incertezze sorte in giurisprudenza sulla decorrenza dello scioglimento del regime di comunione tra coniugi sono state eliminate ad opera della modifica del secondo comma dell'art. 191 c.c. introdotto dalla l. n. 55/2015 (c.d. legge sul "divorzio breve"). La norma ora dispone che "la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato". Ciò significa che il regime patrimoniale, a seguito della riforma che ha inteso imprimere maggiore celerità nello svolgimento delle procedure relative all'iter di separazione, si intende sciolto dal momento dell'udienza presidenziale.
Cass. Civ. n. 2059 del 14.02.2012
Infedeltà coniugale: L'abbandono del tetto coniugale prima della domanda di separazione e senza una valida ragione fa scattare automaticamente l'addebito.
A maggior ragione se il coniuge che ha reciso la coabitazione lo ha fatto per intraprendere una convivenza more uxorio. Infatti, il coniuge, il quale provi che l'altro ha volontariamente e definitivamente abbandonato la residenza familiare senza aver proposto domanda di separazione personale, non deve ulteriormente provare l'incidenza causale di quel comportamento illecito sulla crisi del matrimonio, implicando esso la cessazione della convivenza e degli obblighi ad essa connaturati, e gravando sull'altra parte l'onere di offrire la prova contraria, che quel comportamento fosse giustificato dalla preesistenza di una situazione d'intollerabilità della coabitazione. nonostante l'assenza della giusta causa prevista dall'art. 146 cpv. c.c..
Cass. Civ. del 14 Aprile 2011 n. 8548
Infedeltà coniugale: Rischia l'addebito della separazione e non ha diritto all'affido condiviso dei figli minori il coniuge che non rispetta la personalità del partner.
Infatti, in tema di addebitabilità della separazione personale, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili - traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner - essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo, e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere.
Cassazione civile , sez. VI, sentenza 17.01.2012 n° 610
Infedeltà coniugale e risarcimento: va provata lesione dell'integrità fisio-psichica
Con la sentenza 17 gennaio 2012, n. 610, in tema di assegno di mantenimento, la Corte di Cassazione risolve una duplice questione, in termini di richiesta di risarcimento del danno subito a causa del tradimento del marito e in riferimento alla capacità lavorativa della figlia maggiorenne.
Nel caso di specie, la moglie aveva proposto ricorso per cassazione nei confronti del coniuge, lamentandosi della decisione assunta dalla Corte territoriale con cui, in parziale riforma della sentenza di primo grado in tema di separazione personale, aveva ridotto l’assegno imposto al marito per il mantenimento della moglie, revocando inoltre a quest’ultima l’assegnazione della casa coniugale.
In particolare, le doglianze si riferivano ai richiami operati dalla Corte a rendite vitalizie percepite dalla moglie e al generico impegno del marito di garantire un’adeguata sistemazione abitativa nei sui confronti. In realtà, secondo i giudici del Palazzaccio le censure contenute nel ricorso, inerenti alla quantificazione dell'assegno di mantenimento della ricorrente, sono fondate con riguardo alla ricostruzione della condizione economica di ciascuna delle parti ed al relativo raffronto, ritenendosi immotivata l’inclusione tra i cespiti di lei di una rendita assicurativa mensile, che lo stesso controricorrente non conferma, nonché all'impropria considerazione della futura, ipotetica e non meglio precisata soluzione alloggiativa offerta dal coniuge. Ciò è sufficiente per far ritenere agli Ermellini che nel caso specifico la riduzione sancita dal giudice di merito non avrebbe garantito un tenore di vita analogo alle condizioni di vita godute nel corso del matrimonio. Tuttavia altri due motivi di ricorso, presentati dalla moglie, vengono disattesi: il primo relativo al risarcimento del danno non patrimoniale collegato alla infedeltà del coniuge; il secondo relativo alla revoca del mantenimento alla figlia, ormai maggiorenne.
Quanto al primo punto – condividendo il rigetto operato dal giudice di merito – la Cassazione, pur ribadendo la possibilità della richiesta dei danni anche in ambito familiare, non rileva nessuna lesione di diritti fondamentali e particolarmente dell’integrità fisio-psichica della moglie; riscontro negativo – si legge nella sentenza – che la ricorrente solo genericamente avversa, omettendo di dedurre l’esistenza di circostanze atte ad integrare gli estremi della invocata tutela risarcitoria. Quanto alla figlia il diniego di assegno paterno per il mantenimento ad opera del giudice di merito si fondano sulla puntuale verifica delle condizioni personali ed economiche della figlia ormai trentaseienne e titolare di rendita immobiliare nonché di titolo di studio universitario e, dunque, in grado di attendere ad occupazioni lucrative – peraltro offerte dal padre stesso - ingiustificatamente, invece, da lei rifiutate.
A nulla rileva l’assunto della ricorrente circa l'erroneo richiamo della laurea in architettura della figlia piuttosto che in conservazione e restauro di beni culturali, non apparendo decisivo in rapporto al possibile suo inserimento lavorativo nell'ambito dell'attività imprenditoriale svolta dal padre in ambito edilizio.
In conclusione, per i giudici di Piazza Cavour non emergono elementi che possano portare a conclusioni diverse da quelle già espresse in primo grado. Da qui l’accoglimento del primo motivo del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello territoriale, in diversa composizione.
Infedeltà coniugale: per la Cassazione il danno è risarcibile:
Il riconoscimento da parte della Suprema Corte del diritto al risarcimento del danno derivante da responsabilità civile nella famiglia ha attraversato un lungo percorso giurisprudenziale prima di essere a tutti gli effetti consacrato a rimedio per tutte quelle condotte perpetrate da un componente della famiglia in danno dell’altro, nel caso di specie da un coniuge in danno dell’altro coniuge.
Dapprima, infatti, la Corte ha riaffermato la centralità della lesione di un interesse della persona di rango costituzionale, quale presupposto del risarcimento del danno alla persona, pur in assenza di una previsione legislativa ad hoc, assecondando il risarcimento del danno causalmente riconducibile alla condotta, dolosa o gravemente colposa, lesiva di un diritto inviolabile direttamente riconducibile agli artt. 29-30 Cost. (ex pluribus Cass. SS.UU. nn. 26972-26975 del 2008). Da ultimo, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18853/11 ha sancito che, data la natura giuridica dei doveri coniugali, non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità tra la domanda di addebito e quella di risarcimento dei danni.
Pertanto, a prescindere dalle controversie nell’ambito della separazione, e dal fatto che, in molti casi la domanda di una separazione o divorzio giudiziale venga trasmutata in consensuale o congiunta, è sempre possibile ottenere, con domanda al giudice civile ordinario, il risarcimento per il danno intrafamiliare, estrinsecatosi, nel caso di specie, in una plateale condotta fedifraga del marito lesiva, per il fatto in sé, ma anche per le modalità con le quali è stata consumata, della dignita’ e onore della moglie. La pronuncia suddetta, difatti, afferma che l’infedelta’ che abbia leso la dignita’ e l’onore del coniuge tradito rappresenta un illecito civile suscettibile di risarcimento danni : “Anche nell’ambito della famiglia i diritti inviolabili della persona rimangono infatti tali, cosicchè la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità civile. Fermo restando che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione, non possono di per sè ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l’art. 2059 cod. civ., riconnette detta responsabilità, secondo i principi da ultimo affermati nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 delle Sezioni Unite, la quale ha ricondotto sotto la categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico e, quindi, entrambi i tipi di danno in relazione ai quali è stata formulata la domanda dell’odierna ricorrente” (Cass. 15 settembre 2011 n. 18853).
Spetta al coniuge tradito, però, provare l’entita’ dei danni subiti, sia morali che economici: la violazione dei doveri coniugali può, infatti, ledere diritti costituzionalmente protetti qualora si dimostri che la condotta illecita -nella specie l’infedeltà- abbia dato vita ad una lesione dell’integrità psichica e fisica, abbia portato a conseguenze pregiudizievoli della reputazione della vittima, oppure si sia concretizzata in atti specificamente lesivi dell'onore del coniuge tradito.